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Proloco di Groppallo - Groppallo, il dialetto ritrovato

Groppallo, il dialetto ritrovato

Groppallo, il dialetto ritrovato

di Maria Vittoria Gazzola

 

Dialetti, biodiversità delle lingue nazionali: è una delle ragioni per preservarli, parlarli, diffonderli. Amarli.

I dialetti sono le radici più profonde della storia; parlare è comunicare, fare amicizia, costruire rapporti, famiglie, tenere scambi commerciali. Relazioni umane.

 

Claudio Gallini, 38 anni, piacentino di nascita con sangue di Groppallo, ama moltissimo penetrare il passato che lo vede figlio e, coltivando una passione lontana dai suoi studi di perito industriale, si occupa del mondo dimenticato.

 

L'autore Claudio Gallini

 

Da piccoli segni, da parole desuete ha tirato fuori la vita del tempo che fu, madre (o matrigna?)

della nostra epoca dando alle stampe Maràssa & Curiàtta, il primo dizionario del dialetto di Groppallo, un paese-vetta dell’alta Valnure, stampato dalla casa editrice LIR di Piacenza (Libreria Romagnosi, via Romagnosi).

 

Un libro di 700 pagine, nel quale l’autore ha raccolto oltre seimila lemmi del dialetto parlato nella vasta area groppallina (in comune di Farini) che conta settanta località, comprese le singole unità abitative.

Ad ogni parola, Gallini fa seguire una storia di umanità con nomi e soprannomi di persone, del territorio con un profondo e serio studio etimologico. Del dialetto groppallino ha individuato e fissato anche le regole grammaticali.

 

«Ogni parola del nostro dialetto protegge intrinsecamente un legame con il passato, basti analizzare uno per uno ogni vocabolo e quando si proporrà un’etimologia, senza esagerare e sempre con metodo, si vivranno emozioni fortissime», spiega Gallini che ha già dato alle stampe: Antico Borgo Coletta (Ediprima 2009), Il castello di Boli (Tipleco 2010), Gli oratori di Groppallo (Lir 2013), Ciao Gianrico (Lir 2014) e che collabora anche con il periodico culturale L’Urtiga su cui scrive di vita rurale in alta Valnure, «cercando di far conoscere

e valorizzare il territorio, invitando i lettori, i cittadini, la gente di pianura a scoprire la bellezza della montagna, che non c’è solo il Roma o Venezia».

 

L’aveva capito anche il monaco irlandese Colombano quanto fosse bella la montagna (anche se era la Valtrebbia), tanto da fermarsi in quel luogo che diventò Bobbio per seminare la cristianità e lanciarla verso l’Europa.

 

«La molla mi è scattata quando ho visto che la montagna si stava spopolando, venivano a mancare gli anziani e i giovani se ne andavano. Ho notato il totale disinteresse verso le nostre tradizioni e mi ha fatto male»,

 

tanto da spingerlo a una sorta di “crociata”, «e sono partito con la storia della mia famiglia, della torre di Boli e tutto il resto è venuto da sé; il dizionario fa parte delle storie che ha già raccontato».

 

Cinque lavori in sei anni, un’attività intensa, «lavoro durante le ferie, nei fine settimana, vado nelle biblioteche, negli archivi, di Stato e parrocchiali».

 

Fa tesoro dei racconti trasmessi verbalmente.

 

 

La copertina del volume: "Maràssa e Curiàtta" edito dalle Edizioni LIR di Piacenza

 

Un interesse nato molto presto e che ha scalfito la sua memoria irrimediabilmente, «quando, durante le vacanze scolastiche, trascorrevo con i nonni tre mesi filati nelle verdi montagne della val Lavaiana a Coletta di Groppallo». Una “full immersion” «in una lingua estranea all’italiano e, per molti altri aspetti, anche molto lontana dal dialetto della città; è stato un coinvolgimento totale che ha permesso un apprendimento individuale basato soprattutto sull’ascolto». Il contrasto, abissale, tra la città e quella porzione di montagna, non è passato indenne nella mente di quel bambino, «quello che vivevo a Coletta non si poteva di certo ripetere a Piacenza: esperienze di vita rurale montana uniche, con la “fortuna” di avere avuto un nonno particolarmente ostile a tutte le modernità e sempre pronto a erudirmi sul funzionamento di un vecchio attrezzo e insegnarmene il nome, naturalmente nel patois locale. Questo è il primo motivo legato alla composizione di questo lavoro: un forte sentimento di malinconia verso quei tempi spensierati della mia infanzia, che viene in questo modo soddisfatto dalla continua indagine, una ricerca capace, nell’immediato, di farmi tuffare nel passato».

Il secondo, motiva l’imponente studio Gallini, «è quello di salvare il salvabile e permettere alle generazioni future, o a chi non ha mai preso confidenza con la lingua dei propri nonni, di approcciarla senza problemi». E c’è anche un’altra, vera, ragione: «Il cuore, dove risiedono le fondamenta della mia identità e questo dialetto ne è una caratteristica molto importante, comune e condivisa da tutti i groppallini del mondo».

 

Maria Vittoria Gazzola

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